Mare Fuori racconta le vicende di un gruppo di adolescenti rinchiusi in un carcere minorile che si affaccia sul mare di Napoli, focalizzando in particolare l'attenzione su due giovani provenienti da mondi agli antipodi, Carmine e Filippo, e sullo sviluppo (e sulle conseguenze) della loro amicizia tra le mura dell'istituto.
La serie esplora le fragilità, i sogni e le delusioni di ragazzi per i più dei quali il dovere di affrontare l'esperienza del carcere era segnato nel destino più di quanto non lo fosse il dovere di frequentare almeno la scuola dell'obbligo, e che sotto il teatrale atteggiarsi da sadici bulli ed indomabili ribelli nascondono debolezze talvolta commoventi.
Condividendo appieno il parere di chi sostiene che la piacevolezza della prima stagione non sia eguagliata nelle stagioni successive, ho comunque seguito con sufficiente coinvolgimento tutti gli episodi disponibili su Netflix fino alla redazione di questa recensione (e cioè quattro stagioni, e lo preciso giacché al momento in cui scrivo è imminente l'uscita della quinta). La trama non è eccelsa, certe dinamiche sono più sciocche di altre, il quadro che viene dipinto della vita carceraria minorile lascia enormi perplessità, e mentre alcuni personaggi sono ben riusciti, altri finiscono per diventare melensi e noiosi. Ciò nonostante, questa serie è capace di coinvolgere almeno quanto basta per passare da un episodio all'altro senza guardare l'orologio, e dirò di più: ritrovarsi a canticchiare la sigla introduttiva è un attimo, come può essere altrettanto immediato cogliere nelle parole della canzone, ci sta u mar’ for’, la sintesi di buona parte degli aspetti psicologici di una storia che può sembrare banale ma che in realtà può suscitare delle riflessioni, e che perciò ritengo possa essere giudicata come discreta senza timore di cadere nell'errore di una valutazione dettata dall'emozione di un momento.
Voto: 7/10
N.d.R.: Immagine di copertina generata tramite l'intelligenza artificiale
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